Quando si parla di potere di interruzione (o di cortocircuito) di un componente elettrico ci si riferisce alla corrente massima entro la quale il componente stesso è in grado di aprire il circuito. Per garantire la sicurezza e il corretto funzionamento dell’impianto elettrico, infatti, occorre che i conduttori siano dimensionati in modo da sopportare l’energia passante che si sviluppa durante il corto circuito più gravoso prevedibile in sede di progetto.
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Il potere di interruzione non deve dunque essere inferiore alla corrente di cortocircuito presunta nel punto di installazione (anche se è ammesso l’utilizzo di un dispositivo di protezione con potere di interruzione inferiore se a monte è installato un altro dispositivo avente il necessario potere di interruzione). Perché ciò accada devono essere installati dispositivi di protezione opportunamente dimensionati per interrompere la corrente prima che si raggiunga la soglia massima sopportabile dai conduttori o da altri dispositivi percorsi dalla corrente di guasto.
Il potere di interruzione negli interruttori
Tali dispositivi di protezione contro i cortocircuiti sono sia gli interruttori automatici provvisti di sganciatori di sovracorrente, sia gli interruttori combinati con fusibili, sia i fusibili stessi. La scelta degli interruttori automatici viene realizzata valutando il potere di interruzione o cortocircuito, che può essere o “di servizio” o ” estremo”, e i poteri di interruzione di servizio ed estremo sono definiti nelle norme CEI EN 60898-1 e CEI EN 60947-2.
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Nel caso di un interruttore magnetotermico, esso si attiva grazie a due dispositivi: uno sganciatore magnetico e uno termico che intervengono nel momento in cui vengono sottoposti ad un sovraccarico di corrente. L’interruttore differenziale magnetotermico, poi, interrompe il circuito anche per contatti diretti e indiretti ovvero qualora ci sia una dispersione a terra di corrente. Questo tipo di interruttore integra infatti le tre protezioni: magnetica, termica e differenziale.
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